Mahmūd Sciabestari.
Mahmūd Sciabestari. Poeta mistico neopersiano. Godette grande fama anche in Europa soprattutto per il suo poema Il roseto del mistero, che compose nel 1317. In mille distici delinea una limpida trattazione teorica del sufismo formulata in quindici questioni postegli da un altro sufi con le relative risposte. Vi si nota un palese influsso cristiano, infatti vi sono citate quasi letteralmente espressioni di Gesù, e un certo contenuto filosofico soprattutto quando tratta dell'impossibilità del pensiero logico di capire Dio ed esprime l'idea dell'unità essenziale del Tutto e le molteplici emanazioni dell'Essere assoluto. Di particolare interesse sono le azioni di metafore erotiche trasposte sul piano mistico. Il breve poema ha il pregio della chiarezza e dell'utilità poiché si presenta in forma quasi esclusivamente teorica (m. 1320 circa). Chi compone poesie. A seconda del genere trattato, si parla di p. lirico, tragico, epico, satirico, ecc. ║ P. maledetti: V. MALEDETTO. ║ Per estens. - Avere un animo da p.: detto di chi possiede un innato gusto estetico, una propensione a ricercare l'ideale e ad impiegare la fantasia. Che concerne i misteri della fede (in particolare quella cristiana) o le realtà spirituali. ║ Il pane m.: l'ostia consacrata. ║ Il corpo m.: la Chiesa. ║ Relativo al misticismo. ║ Chi vive l'esperienza del misticismo. ║ Fig. - Puro, spirituale, idealizzato. ║ Fig. - Caratterizzato da dedizione assoluta, da profonda spiritualità. • Psicol. - Delirio m.: particolare forma di delirio caratterizzata da stati di estasi e di allucinazioni nelle quali si producono visioni spirituali. (dal latino poema: composizione poetica, poesia, der. del greco poíēma: produzione, creazione). Componimento in versi di una certa estensione, di carattere narrativo, didascalico, allegorico, ecc. Generalmente diviso in canti o libri, metricamente è caratterizzato dalla solennità del verso, l'esametro in latino, l'endecasillabo in italiano. ║ P. epico: p. di argomento eroico, come l'Iliade, l'Odissea o l'Eneide. ║ Fig. - Questo è un p.: detto di un componimento che abbia un'estensione maggiore del normale. • Mus. - P. sinfonico: composizione per orchestra derivante dalla categoria della musica a programma, avente il fine di evocare vicende drammatiche, ambientazioni naturali, figure leggendarie, ecc. Testimoniata fin dal Medioevo e per tutto il Rinascimento, la musica programmatica trovò la sua più alta espressione nei classici: in L. van Beethoven (Pastorale) e in H. Berlioz (Aroldo in Italia). Il termine fu tuttavia impiegato per la prima volta da F. Liszt, che compose 14 p. sinfonici per sottolineare una maggiore libertà e pluralità tematica. R. Strauss interpretò il p. sinfonico quale dramma musicale, mentre C. Debussy scelse la forma del polittico, caratterizzato da distinti quadretti musicali. Metr. - Sistema o periodo metrico formato da due versi. Il d. per eccellenza della metrica classica è quello elegiaco, formato da un esametro e da un pentametro: Parve, nec invideo, sine me liber, ibis in Urbem/ei mihi, quo domino non licet ire tuo (Ovidio). Il d. italiano è generalmente formato da due versi accoppiati dalla rima baciata. Fu usato da Carducci. • Bot. - Di foglie, di rami o fiori inseriti a nodi alterni sull'asse che li porta, e in modo da formare due file o linee generatrici (ortostiche) una a destra e l'altra a sinistra. Corrente dell'Islam che si caratterizza per la pratica dell'ascesi mistica. In merito all'origine e al significato del termine sono state addotte diverse spiegazioni. Secondo le fonti più accreditate la parola farebbe riferimento al pelo di cammello (şūf: lana) con il quale veniva confezionato il saio indossato dai primi seguaci del movimento; in altri casi il vocabolo viene messo in relazione con il concetto di purezza (şaffa); il termine viene anche, a volte, collegato al portico (şuffa), sito nei pressi della casa di Maometto a Medina, dove avrebbero soggiornato uomini devoti. • Encicl. - Il problema delle origini del S. assume un'importanza fondamentale, dal momento che questa corrente di ascetismo mistico potrebbe apparire come una sorta di "corpo estraneo" nell'ambito della religione islamica, poco incline (al di là dei ritiri ascetici praticati, secondo la tradizione, da Maometto giovane) a una visione mistica della relazione tra l'uomo e Dio. Sono stati indicati, pertanto, in passato, contributi esterni al mondo islamico, che avrebbero avuto un ruolo decisivo nella nascita del S.: l'ascetismo proprio del Cristianesimo d'Oriente, la filosofia neoplatonica, credenze persiane (il S. ebbe ampia diffusione in Persia) a sfondo panteistico. Al di là di queste possibili influenze, oggi gli studiosi ritengono il S. come un movimento generatosi all'interno della religione islamica e legato alla sua tradizione. Il S. comparve nella regione di Bassora nell'VIII sec. e, sin dall'inizio, sviluppò, al suo interno, orientamenti e scuole diverse (si segnalano, tra le altre, quella irachena del Khorāsān e quella dell'Asia centrale). Al di là di queste articolazioni interne, il S., professato sia in forma individuale, sia all'interno di confraternite, ebbe come orizzonte comune la profonda interiorizzazione di tutti gli aspetti della vita religiosa, allo scopo di evitare la degenerazione della pratica religiosa a mero formalismo e legalismo. Il S. si trovò per molti aspetti in contrasto con l'ortodossia islamica e durissime furono le condanne rivolte contro di esso. L'opera di al-Ghazālī, che liberò il S. da deviazioni ed eccessi e armonizzò i diversi influssi spirituali, riportò, in seguito, il movimento nell'alveo dell'ortodossia, anche se all'interno del S. continuarono a svilupparsi tendenze eterodosse: esse si esprimevano nella pretesa di identificarsi con Dio, nel disprezzo per la legge del Corano e per le pratiche esteriori di devozione, nel ricorso a sostanze stupefacenti per favorire l'estasi mistica. La fase di espansione del S. terminò nel XII sec., anche se il movimento conobbe successive riprese. Nei secc. XII-XIII si andarono costituendo ordini e confraternite: queste ultime prendono il nome dal santo fondatore e sono caratterizzate da una loro regola e da un'organizzazione gerarchica degli aderenti. Attraverso le confraternite si è poi diffuso il culto dei santi, sia vivi sia defunti. L'istituzione delle confraternite perfezionò e formalizzò il rapporto tra maestro, o guida spirituale (murshid o shaikh), e discepolo (murid), che aveva acquisito un ruolo centrale nel S.; il S. si prospetta, infatti, come un percorso di graduale perfezionamento interiore, da praticarsi attraverso il ritiro dal mondo, la rinuncia e la povertà, fino ad annullare l'individualità nell'unione con Dio. Praticante o osservante delle dottrine e delle pratiche ascetiche del Sufismo. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. Di Cristo. ║ Che appartiene o è proprio della religione di Cristo. ║ Che ha relazione col Cristianesimo o è da esso ispirato. ║ Individuo che ha fede in Cristo e ne professa la religione. ║ Era c.: partizione storica che ha inizio convenzionale nell'anno della nascita di Cristo. ║ Nel linguaggio familiare è sinonimo di uomo. ║ Chiesa c. cattolica apostolica: setta, di impostazione millenaristica, fondata a Chicago nel 1896 da J.A.Dowie; ebbe come centro Zions City, sul lago Michigan. In un viaggio di propaganda attorno al mondo, il Dowie scelse Zurigo come centro di diffusione della setta. ║ Chiesa c. riformata: fondata in Olanda, nel 1843, da H. de Cock, cui si unì tra gli altri van Raalte; essi emigrarono, con alcuni seguaci, negli Stati Uniti, dove nel 1847 aderirono alla Chiesa riformata d'America, dalla quale si separarono nuovamente nel 1857. ║ Comunità c.: movimento religioso fondato nel 1922 da Rittelmeyer; in esso confluirono elementi c., di misticismo orientale e di altra provenienza, sulla base dell'antroposofia di Steiner. Soppressa nel 1941 dal Nazismo, risorse nel 1945. ║ Lega c.: lega dei Cantoni cattolici della Svizzera, stretta nel 1586. ║ Associazione fondata a Berlino nel 1925, omologa, in ambito luterano, all'Azione Cattolica. Per i Cristiani il figlio di Dio, seconda persona della Santissima Trinità, incarnatosi per virtù dello Spirito Santo nel grembo di Maria Vergine e morto sulla croce a salvezza di ogni uomo. Fonti storiche della vita terrena e dell'insegnamento di G. sono i quattro Vangeli, alcune testimonianze di parte ebraica, un passo delle Antiquitates dello storico ebreo romanizzato Giuseppe Flavio, un passo degli Annali di Tacito, una lettera di Plinio il Giovane a Traiano e la relativa risposta, passi dello storico Svetonio nelle Vite di Nerone e di Claudio. G. nacque a Bethlehem, villaggio presso Gerusalemme, nel dicembre di uno degli anni fra il 747 e il 749 dalla fondazione di Roma, durante il Regno di Erode. Sua madre fu Maria, discendente dalla famiglia di Davide, vergine, quantunque da poco sposata a Giuseppe, anch'egli della regia stirpe di Davide, ma modesto artigiano, che aveva fissato con la sposa la sua residenza a Nazareth e che fu solo padre putativo. Giuseppe e Maria si erano recati a Bethlehem, paese originario della loro famiglia, a causa di un censimento; ma nel paese affollato trovarono come alloggio solo una grotta che serviva anche da stalla, e lì si compì l'evento, accompagnato e seguito da fatti miracolosi, come l'annuncio dato dagli angeli ai pastori e la comparsa di una cometa che guidò alcuni Magi (sapienti astronomi della Mesopotamia) a rendere omaggio al nato sotto quel segno celeste, profetato nei loro libri sapienziali come un uomo eccezionale. La notizia della nascita di questo fanciullo sotto segni straordinari insospettì Erode che paventò in lui un futuro antagonista e cercò di sopprimerlo ordinando l'uccisione di tutti i nati in quella zona in quel periodo di tempo. Ma Giuseppe e Maria, per divino avvertimento avuto in sogno, posero in salvo il loro bambino attraversando il confine egiziano. Solo dopo la morte di Erode (4 d.C.) la famiglia ritornò a Nazareth, dove G. dimorò fino a 30 anni, aiutando Giuseppe nella bottega di falegname. Di questi anni le fonti non dicono quasi nulla. Si conosce soltanto l'episodio della sua disputa con i dottori della legge nel Tempio di Gerusalemme ove, dodicenne, si era recato con i suoi per la Pasqua. Dopo il trentesimo anno, ricevette il battesimo da Giovanni il Battista, mentre una voce annunciava dall'alto ai presenti che egli era il Messia figlio di Dio. Iniziò la sua vita pubblica, cioè la sua rivelazione agli uomini mediante la predicazione e i miracoli, intorno al capodanno del 27. G. si ritirò su un monte e pregò e digiunò in solitudine per 40 giorni alla fine dei quali fu tentato dal demonio con lusinghe e promesse che respinse. Qualche tempo dopo si recò in Bethabara (o Bethania), dove incontrò ancora almeno due volte il Battista che lo indicò ai suoi discepoli come l'"agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Due discepoli del Battista, Andrea e Giovanni (il futuro evangelista), si recarono a visitare G. e, qualche giorno dopo, Andrea ritornò col fratello Simon Pietro. Con questi primi seguaci G. ritornò in Galilea, ove si unirono a lui anche Filippo e Nataniele Bartolomeo. In quel periodo G. fu invitato al villaggio di Cana a una festa di nozze; qui compì il primo miracolo, la trasformazione di acqua in vino, essendo questa bevanda venuta a mancare. Dopo questa festa G. si recò sul lago, a Cafarnao, dove iniziò la sua predicazione e restò fino alla Pasqua che celebrò a Gerusalemme. Qui diede prova dell'autorità di cui si sentiva investito scacciando i mercanti profanatori del Tempio e predicando alle folle. Prolungato il suo soggiorno in Gerusalemme e in Giudea, mentre Giovanni il Battista veniva arrestato, G. ritornò in Galilea. Si soffermò a Cana di Galilea, guarì miracolosamente il moribondo figlio di un ufficiale regio, quindi tornò a Cafarnaum e, percorrendo i villaggi intorno al lago, compì prodigi. Dopo una pesca miracolosa sul lago, elesse definitivamente a collaboratori diretti quattro dei suoi primi seguaci tra cui Simon Pietro e il fratello Giovanni. Successivamente si aggiunse il gabelliere Levi Matteo, cui poi seguirono altri 7 eletti a completare il numero di 12 Apostoli. Durante questo lungo soggiorno in Galilea, G. tenne il discorso della montagna, annunciando le beatitudini e le previsioni escatologiche; raccontò le sue più belle parabole, compì prodigi resuscitando morti, dando la vista a ciechi, sanando i malati e i deformi. Da Cafarnaum inviò per la prima volta i 12 Apostoli a predicare in luoghi a ciascuno assegnati mentre Egli tornò a Nazareth, dove venne accolto con diffidenza e infine scacciato per aver attribuito a sé un passo di Isaia. Ritornò a Cafarnaum; attraverso il lago si recò a Bethsaida dove venne seguito da grandi folle alle quali parlò e che sfamò con la prima miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. Non è chiaro se G. si sia recato a Gerusalemme per la Pasqua o per la successiva Pentecoste. Qui guarì il paralitico della piscina di Bezetha, ebbe dispute con gli Scribi e i Farisei e dopo un soggiorno probabilmente non lungo tornò in Galilea; poi, forse per sfuggire a persecuzioni, andò in Fenicia e compì un miracolo presso Tiro, quindi si recò nella Decapoli donde, lungo il Giordano, risalì verso il lago di Tiberiade. Qui compì la seconda miracolosa moltiplicazione dei pani per sfamare le turbe accorse ad ascoltarlo. Nei pressi di Cesarea di Filippo avvenne la confessione di Pietro, il quale, anche a nome dei 12 apostoli, riconobbe che G. è il Messia figlio di Dio. Successivamente G. cominciò a spiegare più diffusamente il senso della sua missione messianica. Poco dopo la confessione di Pietro avvenne la trasfigurazione (non si può precisare se sul monte Hermon non lungi da Cesarea o, dopo il ritorno in Galilea, sul monte Tabor). G. intensificò la sua predicazione nella Galilea che non abbandonò più fino alla festa dei Tabernacoli da lui celebrata a Gerusalemme dove si recò segretamente, ma venne subito riconosciuto. I Farisei tentarono, senza riuscirvi, di lapidarlo e di arrestarlo. Mandò i discepoli a predicare in vari luoghi della Giudea e della Transgiordania, mentre Egli non si allontanò molto da Gerusalemme e fu spesso ospite in Bethania, quasi alle porte della città, di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria. In questo periodo insegnò il Pater noster. Si recò poi in Transgiordania, ma per la festa della Dedicazione era ancora a Gerusalemme. Passò nella Perea, risalì in Galilea, poi ancora in Transgiordania continuò la sua missione di diffusione del Verbo. Qui lo raggiunse la notizia della morte dell'amico Lazzaro. Si mise in cammino per Bethania e risuscitò Lazzaro sepolto da quattro giorni. La notizia di questo miracolo, pur suscitando grande commozione, turbò i maggiorenti che, riuniti presso il sommo sacerdote Caifa, si consultarono sull'opportunità di sopprimere G. Egli intanto lasciò Gerusalemme e si recò a Efraim, poi a Gerico. Consapevole della prossima morte, l'annunciò ai discepoli che ancora non avevano capito l'essenza della missione messianica. Avvicinandosi la Pasqua lasciò Gerico e si avviò a Gerusalemme. Vi giunse la domenica 9 del mese di Nisan, accolto trionfalmente dalle folle. All'alba si recò di nuovo nel Tempio a predicare e così il giorno successivo, martedì. Interrogato capziosamente, rispose sul tributo dovuto a Cesare. Rispondendo a uno scriba, affermò che il massimo comandamento è "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e amare il prossimo come se stessi". Approssimandosi la sera, pronunciò il discorso escatologico ultimo, parlando della fine di Gerusalemme, della diffusione del Vangelo e del giudizio finale. Il mercoledì i sacerdoti si radunarono e decisero la morte di G.; mentre erano radunati, Giuda si presentò ad essi e si propose al tradimento in cambio di 30 sicli. Il giorno successivo G. celebrò la Pasqua con i suoi, cui lavò i piedi, e alla fine del banchetto tradizionale istituì l'eucarestia. Si trattenne poi a lungo colloquio con gli Apostoli (meno Giuda che aveva abbandonato il luogo della riunione per attuare il suo piano infame), predicò di lasciare agli uomini la pace, la sua pace, quella che il mondo non può dare. Pronunciò la preghiera sacerdotale e congedò quindi gli Apostoli, meno Pietro, Giacomo e Giovanni con i quali si recò in un oliveto al di là del torrente Cedron, poco fuori città, per pregare. I suoi compagni si addormentarono ed Egli lottò con l'angoscia per l'atroce imminente scioglimento del dramma. L'uomo che era in lui soffriva, ma Egli si affidò alla volontà di Dio. Di notte sopraggiunsero le guardie guidate da Giuda che catturarono G. e lo condussero da Anna (Hanan), sacerdote deposto dai Romani ma secondo la legge ebraica ancora nella pienezza del suo ministero, che si disinteressò delle accuse mosse a G. e lo rimandò a Caifa, il neo sommo sacerdote. Spuntò l'alba del venerdì 14: G. era davanti a Caifa che sosteneva l'accusa e il Sinedrio lo condannò come bestemmiatore. Ma poiché occorreva la ratifica del governatore romano, G. venne condotto nel pretorio di Pilato il quale, non volendo immischiarsi, mandò G. da Erode che si trovava a Gerusalemme per la Pasqua. Erode, interrogato G. e non ottenendo risposta, lo irrise come pazzo e lo rimandò a Pilato. Il governatore, non trovando colpa alcuna in G. e volendolo salvare, lo fece fustigare e lo mostrò al popolo credendo di impietosirlo. Dichiarò che secondo il costume avrebbe liberato un prigioniero in occasione della festa pasquale, ma il popolo, aizzato, domandò la liberazione del bandito Barabba, insistendo per la crocifissione di G. Sul mezzogiorno G., condotto al luogo del supplizio, una piccola altura fuori porta, detta Golgotha, venne issato sulla croce fra due ladri. Benché ogni resistenza fisica fosse già crollata (durante il tragitto dal pretorio al Golgotha era caduto tre volte sotto la croce), G. rifiutò una bevanda di vino medicato che lo avrebbe stordito attenuando i dolori (solo più tardi sulla croce, arso di sete, chiese da bere e gli vennero bagnate le labbra tumide e secche). Perdonò i suoi carnefici e pregò per loro; promise la gloria eterna dei giusti a uno dei ladroni che gli era a fianco e lo invocò; al discepolo prediletto, Giovanni, il solo che fosse presente, affidò la Madre che lo aveva accompagnato fin lì; intonò poi il salmo XXI (XXII) che inizia con le parole "Eloi, Eloi, lamma sabactani", cioè con un lamento, e dopo aver descritto ciò che allora si stava compiendo, la triste passione, conchiuse con accenti trionfali. Finito di mormorare quell'inno di Davide, G. sentì la morte sopraggiungere, e raccolte tutte le forze, ancora con le parole del salmista invocò il Padre: "Affido l'anima mia alle tue mani, o Signore". Dopo quel grido morì. Si oscurò il cielo e la terra fu scossa da terremoto: la folla si spaventò e si disperse, il centurione romano che comandava la scorta esclamò ch'era morto un giusto. Erano circa le tre del pomeriggio. Occorreva far presto per dargli sepoltura, essendo imminente il tramonto e l'inizio del sabato. Giuseppe d'Arimatea ottenne da Pilato il permesso di rimuovere il cadavere dalla croce e di chiuderlo in un sepolcro nuovo che egli possedeva presso il luogo del supplizio. I membri del Sinedrio chiesero a loro volta che il sepolcro fosse sigillato e vi fossero poste guardie. Ma all'alba della domenica, primo giorno della settimana dopo il riposo del sabato, alcune donne (fra cui Maria Maddalena) che avevano seguito G. dalla Galilea, venute al sepolcro con unguenti profumati per completare l'imbalsamazione del cadavere, lo trovarono aperto e vuoto: corsero ad avvertire Pietro e Giovanni, i quali constatarono la verità dell'affermazione delle donne. Intanto Maria Maddalena era tornata al sepolcro; qui apparvero due angeli e le annunciarono che il Signore era risorto, e poco appresso le apparve G. stesso che ella dapprima non riconobbe. Nell'arco di 40 giorni G. apparve più volte ai suoi discepoli e in Giudea, a Gerusalemme, dove ordinò loro di restare fino alla Pentecoste. Durante queste apparizioni completò il suo insegnamento, impartì gli ultimi ordini per la loro azione missionaria e per l'organizzazione della Chiesa. Nel quarantesimo giorno apparve loro per l'ultima volta, dette gli ultimi consigli, li guidò verso Bethania sul Monte degli Olivi e scomparve verso il cielo, avvolto in una nube. L'ultimo mandato fu di diffondere la buona novella fra tutte le genti fino agli ultimi confini della Terra. agg. (pl. m. -ci ) Che concerne la filosofia Sinonimi filosofico (agg.), controllato, distaccato, freddo, imperturbabile, paziente, razionale,
saggio, sereno, tranquillo. Filosofìa. (dal greco philosophía: amore del sapere). Originariamente il termine venne usato in senso generale per indicare la scienza e la ricerca culturale in genere. Una sua delimitazione, nel senso di disciplina avente per oggetto lo studio dell'attività speculativa, cominciò ad aversi solo con Platone. Il termine f. cominciò infatti a prevalere nei circoli socratico-platonici in contrapposizione a sofista (sapiente), usato sino allora col significato che oggi viene dato al vocabolo filosofo. Successivamente il termine sofista passò a indicare una particolare scuola filosofica classica e, nel suo significato più largo, chi si dedica a una ricerca pretenziosa e fa uso di ragionamenti intenzionalmente capziosi. La f. presocratica circoscriveva il proprio compito alla ricerca intorno al supremo principio della natura. Pur rimanendo questo uno dei compiti della ricerca filosofica di ogni tempo, essa assunse una nuova dimensione con Socrate e Platone, trasformandosi da ricerca naturale in ricerca ideale dei valori, e fu questa la ragione per cui questi pensatori respinsero l'attributo di sapienti. Secondo la nuova concezione, infatti, il filosofo non è un "sapiente", ma un semplice "ricercatore di sapienza", e la f., intesa come scienza dei valori, non è più "sapere", bensì "ricerca". Questa nuova concezione non annullò quella originaria della f. intesa come ricerca intorno al supremo principio della natura. Da essa tuttavia derivò una nuova interpretazione e l'esigenza di nuovi valori da porre al pensiero. Questa concezione caratterizzò tutta la f. classica. Col crollo della società antica, venne a cadere anche il tentativo di trovare un principio logico da cui dedurre scientificamente il mondo e prevalse la tendenza a ricorrere a un Essere supremo, concepito come persona dotata di volontà assoluta e perciò trascendente ogni ragione umana. Il problema del rapporto tra ragione e fede divenne predominante. Il contributo del pensiero cristiano alla f. fu di mostrare che il principio universale non può essere che l'atto di coscienza. Questo era stato già intuito da Platone che, però, non ne aveva sviluppato a sufficienza il significato. Con ciò il pensiero cristiano poté considerarsi l'interprete delle stesse esigenze della f. greca. Col ritorno al classicismo del periodo rinascimentale, venne ripresa anche l'esigenza di considerare la f. come la base costitutiva dell'ordine scientifico del mondo. Si pervenne così alle concezioni di Cartesio e di Spinoza. A quest'ultimo si deve il tentativo più compiuto di spiegare tutto e di giustificare tutto, compreso il male, inserendolo in una costruzione scientifica del mondo, interpretato come un'unica grande coscienza, avente in sé la ragione del proprio ordine. La possibilità di far coincidere una sistemazione scientifica del mondo con un ordinamento di valori venne posta in dubbio da Kant che postulò, invece, un mondo degli oggetti avente soltanto valore relativo, fenomenico, ossia privo di valore, e un mondo di puri valori. Con Kant, la f. rinuncia a costituirsi come scienza suprema, mentre viene approfondito il concetto di valore e si afferma il principio che ogni valore trova fondamento nell'unità della coscienza. L'idealismo post-kantiano, pur riconoscendo che tutto deve essere l'espressione di un atto di coscienza, tenta di ricostruire l'unità del mondo e dei valori. Esso però si richiama alla coscienza in generale, ossia allo spirito. Nella f. contemporanea è prevalso invece il tentativo di concepire il valore come atto della coscienza singola, pur non rinunciando alla sua universalità e alla costruzione di un ordine razionale, scientifico, della natura, in cui questi valori siano applicati. Avendo rinunciato a una visione unitaria del pensiero, si sono poste alcune esigenze fondamentali: 1) spiegazione scientifica, razionale, del mondo fisico, biologico e psicologico; 2) necessità che tale spiegazione risponda a valori assoluti; 3) necessità che questa visione del mondo, secondo fini assoluti, costituisca una garanzia contro la falsità e il male. Come osserva il filosofo esistenzialista K. Jaspers, la f. non può essere definita in quanto "non è determinabile mediante altro che non sia f.". Essa tuttavia si differenzia dalle altre forme di conoscenza e dalle scienze particolari in quanto, pur avendo in comune con esse l'esigenza scientifica, presenta anche l'esigenza, a queste sconosciuta, che l'ordine razionale scientifico abbia anche valore assoluto. Pertanto la f. non può raggiungere, come invece le scienze particolari, risultati definitivi e perfettamente dimostrabili. Nella f., infatti, poiché ogni termine è in rapporto con un valore postulato, esso ha validità solo per coloro che accettano tale valore, e ogni deduzione risulta opinabile. La sua esigenza scientifica differenzia però la f. dalla religione per quanto anche questa si presenti come la ricerca di un valore supremo. Infatti, la ricerca filosofica, pur cominciando con un atto di fede in un valore assoluto, pone a se stessa l'obbligo di presentare tale valore come un principio di razionalità. Nel corso di tutta la storia del pensiero, la validità della f. è stata a varie riprese negata. Scettici, mistici e dogmatici negano infatti, con diverse motivazioni, la possibilità di pervenire alla conoscenza dei fini ultimi e a una visione razionale della realtà. Spesso, però, tra i negatori della f. e della validità della ricerca filosofica, figurano pensatori che occupano un posto di primo piano nella storia della f. che essi hanno arricchita di nuovi fermenti. ║ Storiografia filosofica: sin dall'antichità classica si trovano tentativi di ordinare lo sviluppo del pensiero precedente nelle sue varie ramificazioni. Questo tentativo fu compiuto da Aristotele con lo scopo di tracciare una linea di sviluppo, un processo storico delle correnti filosofiche a lui anteriori. La storia della f. ha però assunto la caratteristica di branca autonoma solo nel XIX sec., quando più viva cominciò a farsi sentire l'esigenza di vedere, al di là della costruzione sistematica del singolo filosofo, la continuità di un lungo processo razionale. La storia della f. si propone infatti di cogliere il filo sotterraneo che lega i singoli pensatori e i problemi dibattuti, lungo tutto il corso del pensiero, pur nella libera concezione del filosofo. Da parte di alcuni storici della f. è stato inoltre posto il problema del rapporto esistente tra l'apparire storico di certe correnti di pensiero filosofico e i problemi da queste sollevati, e i contemporanei sviluppi di altre branche quali l'arte, la letteratura, la dottrina politica. Si è così arrivati a una concezione che tende a vedere in ogni età l'espressione di una problematica comune a tutti i pensatori, pur nella diversità delle singole interpretazioni. La storia della f. tende sempre più ad essere considerata un momento tipico della storiografia in generale, senza un proprio sviluppo autonomo, scisso dal processo degli eventi storici. Sulla necessità di mantenere un costante contatto tra la storia della f. e la storia della cultura in generale hanno insistito i migliori storici della f. Infatti, i vari fenomeni culturali sono tra loro strettamente connessi, per cui non è possibile intendere e penetrare i sistemi e le dottrine filosofiche, se ci si limita a seguire l'evoluzione del processo filosofico attraverso la filiazione delle idee da altre idee, senza tener conto del complesso svolgimento della civiltà umana. Così, per es., è impossibile intendere la rivoluzione filosofica del Rinascimento, se non si tiene conto della novità introdotta dal sistema copernicano, né è possibile dare una giusta valutazione del positivismo del XIX sec. se non si tiene presente il contemporaneo sviluppo delle scienze. ● Encicl. - Se non si tien conto del pensiero orientale, ossia della tradizione filosofica cinese e indiana, lo sviluppo storico della f. ha inizio con la civiltà greca e si distingue, nelle sue grandi linee, in f. antica, medioevale, moderna, contemporanea. Nel periodo pre-socratico (VII-V sec. a.C.) il pensiero si volge all'osservazione del mondo e al problema delle origini del reale e i pensatori sono, insieme, filosofi e scienziati della natura. Così i primi filosofi fioriti nella Ionia (Scuola ionica o Scuola di Mileto) tra cui Talete, Anassimene, Anassimandro, ricercano la "sostanza prima" del mondo. Talete sostiene che tutte le cose scorrono in un flusso continuo, come vuole la natura del loro elemento originario, l'acqua. Anche l'anima viene considerata come un principio di movimento in un universo tutto animato. Altri pensatori, seguendo una concezione pluralistica, basano invece la loro ricerca sulle "sostanze molteplici" costitutive del cosmo: così Empedocle (concezione dei quattro elementi: acqua, aria, terra, fuoco), Anassagora (teoria delle omeomerie, le particelle elementari della realtà), Democrito (concezione atomistica). Già con Anassagora, però, s'inizia un processo di differenziazione tra natura e spirito, mentre gli Eleati (Parmenide, Melisso, Zenone) si pongono il problema dell'essere. Col movimento sofistico (Protagora, Gorgia, Prodico di Ceo), l'interesse si volge prevalentemente verso l'uomo. Tale processo di avvicinamento all'uomo e ai problemi etici raggiunge la sua piena maturità con Socrate (469/70-399 a.C.) che pone la ricerca filosofica su nuove basi e col quale s'inizia un'opera di rinnovamento e si apre un processo etico-spirituale che raggiunge le vette più alte nell'opera di Platone. Per distinguerle dalla scuola socratica che fa capo a Platone, vengono indicate come "scuole socratiche minori" quelle che raggrupparono i vari discepoli e continuatori di Socrate, ramificandosi in varie correnti: cirenaica (Aristippo, Egesia, Annicceri); cinica (Antistene, Cratete, Diogene), megarica (Euclide di Megara, Eubolide, Stilpone). Seguendo l'ispirazione etica del maestro, Platone (428/ 27-348/47) giunge a costruire una f. che non rappresenta un rigido sistema, ma un complesso di problemi alla cui base si pone la teoria delle forme eterne del reale, nota come "dottrina delle idee". Discepolo di Platone, Aristotele (384/83-322/31) svolge una profonda critica all'assolutismo trascendente platonico, in nome delle reali esigenze e debolezze degli individui nella loro concretezza presente. Con Platone e Aristotele, l'analisi del pensiero porta al completamento della Fisica con l'Etica e la Metafisica, e alla costruzione della Logica. Lo spirito, in quanto sostanza pensante, viene distinto dal corpo, e indicato come dovere morale dell'uomo quello di svilupparlo, domando la sua natura materiale. Contro gli sviluppi logico-ontologici del socratismo, compiuti da Platone e Aristotele, e come reazione al movimento socratico minore, si sviluppò lo scetticismo greco di cui fu primo assertore Pirrone (365-274 a.C.). A partire dal III sec., la ricerca filosofica acquistò un orientamento prevalentemente etico, con lo sviluppo della Scuola stoica ed epicurea. Fondatore dello Stoicismo fu Zenone (334-262 a.C.). Esso si basava su una logica del concreto non molto dissimile da quella epicurea. Queste due correnti filosofiche, soprattutto lo Stoicismo, ebbero il loro sviluppo finale a Roma. Tra i massimi rappresentanti dell'ultima fase stoica, figurano M.A. Seneca, Musonio Rufo e l'imperatore Marco Aurelio. Nel primo secolo dell'era cristiana, si sviluppa una filosofia semiorientale della rivelazione che si svolge in parte sul terreno dell'ellenismo greco e in parte su quello giudaico, avendo il suo centro in Alessandria, punto d'incontro e di fusione delle due culture. Questo indirizzo ebbe tra i suoi massimi rappresentanti Filone di Alessandria (30/20 a.C. - 50 d.C.). Tra le scuole di questo periodo, ebbe particolare fortuna il Neopitagorismo, rappresentato dai cosiddetti scritti "ermetici". Questo indirizzo si concretò nel Neoplatonismo in cui confluirono le grandi correnti della filosofia precedente: platonismo, aristotelismo, stoicismo, pensiero giudaico-alessandrino, neopitagorismo. Iniziato da Ammonio Sacca, il Neoplatonismo ebbe il suo massimo rappresentante in Plotino (204-270) che cercò di conciliare le esigenze razionalistiche del mondo ellenico con l'esperienza mistica dell'Oriente, sulla base di un'ispirazione eminentemente religiosa. Pertanto, con Plotino, gl'interessi religiosi prendono il sopravvento su quelli filosofici e lo scioglimento della scuola di Atene nel VI sec. segna la fine della f. greca. ║ F. medioevale: il pensiero cristiano, in quanto volto a creare una f. di Dio, del mondo e dell'uomo, è l'erede del pensiero greco, filtrato però attraverso il Neoplatonismo che, con le sue esigenze spirituali, più si avvicina alle preoccupazioni teologiche degli scrittori cristiani. Nei primi tre secoli si affermano i Padri apostolici, gli apologisti e i controversisti. Particolarmente importanti, sotto l'aspetto filosofico, sono i Padri apologisti, tra cui spicca San Giustino, in quanto essi sviluppano il loro pensiero in polemica con quello classico. Il massimo sviluppo della Patristica si ha a partire dal III sec. durante il quale centro del pensiero cristiano fu la Scuola di Alessandria, il Didascaleion, in cui si opera un avvicinamento dell'apologia cristiana con le dottrine classiche. Massimi rappresentanti di questa scuola furono Clemente Alessandrino e Origene che fu il primo vero grande filosofo del Cristianesimo. Mentre l'indirizzo filosofico-teologico della Patristica orientale è prevalentemente speculativo, quello seguito dai padri latini è soprattutto pratico. Tra questi un posto di primo piano occupa Tertulliano, al quale fece seguito Sant'Agostino (354-430), il massimo pensatore della Patristica e uno dei più grandi di tutti i tempi. In ogni modo, più che filosofico, l'interesse vitale dell'età patristica fu di natura teologica e i Padri operarono per pervenire a una sistemazione dell'insegnamento evangelico: dottrina della Trinità, Incarnazione, Redenzione, Provvidenza, Grazia, ecc. Al di là della riduzione della f. a teologia, si ebbe l'assimilazione del pensiero classico che penetrò nell'elaborazione della dottrina di Dio e dell'uomo, affermando l'ancillarità della f. rispetto alla teologia. A partire dal IX sec., con la formazione delle nuove scuole, s'inizia la Scolastica che non è un sistema filosofico, ma una convergenza spirituale. È questa l'epoca in cui l'individuo tende a nascondersi dietro la comunità e la personalità singola dietro la corporazione. Scholasticus fu detto chiunque si occupasse di f. o di teologia nell'ambito delle scholae. La f. delle varie "scuole", in quanto organi ufficiali della Chiesa Cattolica, presenta caratteri comuni sia dal punto di vista formale sia da quello contenutistico. Al di là di questi caratteri è tuttavia possibile ravvisare una molteplicità d'indirizzi e di correnti. La f. scolastica è prevalentemente ricettiva e si richiama al pensiero antico e a quello patristico, basandosi sul commento di testi e su dispute interpretative (il famoso problema degli universali). Molla di tutta la speculazione scolastica è la metafisica e il problema centrale della speculazione cristiana tra il IX e il XIV sec. è quello dei rapporti tra fede e ragione: credo ut intelligam. All'interno della Scolastica si muovono vari indirizzi di cui i principali sono quello mistico e quello razionalistico. Il centro più vivo della mistica speculativa fu nel XII sec. l'abbazia di San Vittore di Parigi, da cui il nome di Vittorini dato a questi pensatori. Un altro centro particolarmente vivo durante il XII sec. fu la scuola del chiostro di Chartres che s'impegnò per lo sviluppo della cultura profana e che ebbe il suo massimo rappresentante in Giovanni di Salisbury. I maestri del XIII sec. approfondirono l'utilizzazione della filosofia orientale e dei motivi più rilevanti della speculazione araba ed ebraica. Centro culturale particolarmente vivo fu l'università di Parigi. Tra i grandi maestri di questo secolo si ricordano Guglielmo d'Auvergne, San Bonaventura, Alberto Magno. Ma la Scolastica tocca le sue vette più alte con Tommaso d'Aquino, Sigieri di Brabante, Duns Scoto. La speculazione del primo (Tomismo) doveva diventare più tardi la dottrina ufficiale della Chiesa. Il secondo è il massimo rappresentante dell'Averroismo latino, ossia dell'indirizzo di pensiero che si rifà all'arabo Averroè per contestare l'interpretazione tomistica dell'aristotelismo. G. Duns Scoto, infine, ebbe il merito di aver vigorosamente contrapposto il mondo della conoscenza a quello dell'azione, il mondo della necessità a quello della libertà, facendo una distinzione fra ricerca teorica e ricerca pratica, e preludendo alla fine della Scolastica che avvenne con l'insinuarsi della sfiducia nella possibilità di mantenere la fede come perno della ricerca umana. Ma, ancor più che da Duns Scoto, la fase critica del distacco del mondo della fede da quello della ricerca razionale è rappresentata da Guglielmo di Occam. Critica della metafisica razionalistica e fondazione della metafisica mistica sono i due aspetti complementari dell'occamismo in cui la fede tende a diventare un residuo teorico-pragmatico; mentre la ragione, come esperienza, diventa il principio della ricerca. A Occam si ricollega il movimento (movimento occamistico) che si affermò lungo tutto il XIV sec., preannunciando la f. moderna. ║ F. moderna: la f. moderna si apre con il moto culturale (Umanesimo) che cominciò ad affermarsi soprattutto in Italia, nella seconda metà del XIV sec., per raggiungere le sue vette più alte nel secolo successivo. Le molteplici tendenze filosofiche del Rinascimento, pur partendo da posizioni tra loro molto diverse, convergono nella loro contrapposizione, spesso fortemente polemica, alla declinante f. scolastica. Il XV sec. è percorso dal tema di un rinnovamento del pensiero, e dall'espressa esigenza di un ritorno ai classici, visti nella loro luce vera e non attraverso le deformazioni e alterazioni operate dalla Scolastica medioevale. Si afferma che l'opera degli antichi va colta nel suo significato più profondo, per scoprire verità nuove, e non per ripetere temi già noti. Nasce così l'Accademia Fiorentina che si propone come continuatrice dell'antica Accademia Ateniese, fondata da Platone. Da essa non uscì nessun grande filosofo, ma rilevante fu il suo contributo alla diffusione delle dottrine platoniche secondo l'interpretazione umanistico-rinascimentale. Parallelamente si sviluppava la dottrina politica e religiosa e tra le figure di maggior rilievo si ricordano N. Machiavelli, Erasmo da Rotterdam, Lutero, Calvino, G. Bruno, T. Campanella. Contemporaneamente, anche la ricerca scientifica compiva grandi progressi e si avevano le geniali intuizioni di Copernico, Keplero, Galileo, Newton. Questi fermenti e i mutamenti di pensiero riflettevano le trasformazioni politiche, sociali ed economiche che andavano verificandosi in tutto il complesso della società europea, simili dunque, per quanto distinte da innumerevoli differenze locali. Si andò accentuando il distacco della filosofia politica dalla teologia alla quale era stata unita per tutta la precedente era cristiana. I fermenti di quest'epoca dovevano portare al razionalismo cartesiano e allo sviluppo di varie correnti di pensiero, aventi prevalentemente carattere nazionale. Nasce così e si sviluppa l'empirismo inglese che ha inizio con F. Bacone (1561-1626) il cui merito principale fu quello di aver considerato ormai matura per il proprio tempo la fondazione di una scienza della natura, assegnando al pensiero filosofico il compito di determinarne il metodo. L'empirismo inglese raggiunse il suo pieno sviluppo con Th. Hobbes, J. Locke (il padre dell'Illuminismo inglese), G. Berkeley, D. Hume. Dal razionalismo di Cartesio (1596-1650) si sviluppa in Francia una corrente di pensiero che porta alla revisione dei valori teorici e pratici del passato, sino a sfociare nell'Illuminismo settecentesco. Diverso sviluppo ebbe il razionalismo cartesiano filtrato attraverso il pensiero di Spinoza che pervenne a una metafisica monistica da cui si diramano i grandi sistemi idealistici del pensiero tedesco. La filosofia di G. W. Leibniz rappresenta, nel XVII sec., la più compiuta espressione dell'esigenza razionale di unità e di universalità nell'ambito religioso e culturale. Tra i grandi pensatori del XVII sec. figura G.B. Vico, secondo cui la vera scienza umana è la "scienza della storia". Si perviene così all'Illuminismo, termine col quale s'indica il vasto movimento di idee sviluppatosi in Europa tra la Rivoluzione inglese (1688) e la Rivoluzione francese (1789). Esso raggiunse la massima intensità e forza rinnovatrice in Francia anche per le violente opposizioni che le idee da esso propugnate incontrarono nelle forze conservatrici. Dalla Francia il moto si diffuse nel resto d'Europa e soprattutto in Germania. Carattere essenziale dell'illuminismo fu il proposito di fare trionfare i "lumi della ragione" in ogni campo del pensiero e della vita. Esso si oppose a ogni dogmatismo e metafisica, e nella sua polemica contro il passato giunse talvolta a concezioni materialistiche. L'illuminismo ebbe la sua massima espressione nell'Enciclopedia francese alla quale collaborarono, tra gli altri, Rousseau, Voltaire, Montesquieu. Tra gli Illuministi italiani si ricordano: A. Genovesi, P. Verri, C. Beccaria. Una nuova fase della storia della f. si apre con I. Kant, la cui f. costituisce la base di tutto il pensiero successivo: la realtà è un mondo di fini e tutto il nostro conoscere è un giudizio di valore. Con Kant s'inizia la fondazione dell'idealismo che si svilupperà poi in modo diverso con Fichte, Schelling, Hegel. ║ F. contemporanea: la f. contemporanea viene in genere fatta iniziare a partire dal movimento romantico che, nel suo sviluppo filosofico, si oppone all'intelletto e alle sue astrazioni, ossia all'Illuminismo, in nome del sentimento, della passione, dell'oscurità dionisiaca dell'anima umana e di tutto ciò che d'irrazionale vi è nell'uomo. Se Novalis è il pensatore più dichiaratamente romantico, l'irrazionalismo romantico è presente anche nel pessimismo di Schopenhauer, nell'esaltazione del superuomo di Nietzsche, nell'esistenzialismo di Kierkegaard. Filosofo romantico per eccellenza fu J.G. Fichte (1762-1844) che, dal kantismo, sviluppò per primo un sistema idealistico originale. Dal fichtismo si sviluppò la f. di F. Schelling (1775-1854). Essa si propone come f. della libertà (basata sulla ricerca di un realismo capace di spiegare l'esistenza come libera creazione insieme di Dio e dell'uomo) contrapponendosi all'hegeliana f. della necessità. Il pensiero di Hegel (1770-1837) sovrasta ogni altra costruzione filosofica del XIX sec. per l'ampiezza dei suoi orizzonti, per la risonanza avuta nel proprio tempo e per l'influenza avuta sugli sviluppi del pensiero successivo. All'idealismo hegeliano si richiamano infatti le massime ideologie politiche del XIX e XX sec.: costituzionalismo conservatore, liberalismo, socialismo marxista. Una nuova fase nella storia della f. s'inizia dopo la parentesi positivistica. Vengono indicate come Positivismo quelle dottrine sviluppatesi dal pensiero di A. Comte (1798-1857) e che hanno in comune il principio fondamentale secondo cui valida e feconda è soltanto la conoscenza dei fatti, ragione per cui la certezza viene unicamente dall'osservazione che è propria delle scienze sperimentali. Le nuove correnti di pensiero sviluppatesi a cominciare dagli ultimi decenni del secolo scorso, e che rappresentano più propriamente la f. contemporanea, costituiscono per gran parte una reazione al positivismo. Le principali sono: Pragmatismo (S. Perice, W. James, J. Dewey); Spiritualismo (C. Renouvier, L. Brunschvicg, O. Laprune, M. Blondel, H. Bergson); Neocriticismo (R. Lotze, G. Fechner, W. Wundt, W. Windelband, E. Rickert, W. Schuppe, H. Cohen, P. Natorp, E. Cassirer); Neoidealismo o Neohegelismo (J. Royce, P. Martinetti, G. Gentile, B. Croce); il Personalismo (E. Mounier); Neorealismo (W. Schuppe, O. Kulpe, N. Hartmann); Fenomenologismo (E. Husserl); Esistenzialismo (M. Heidegger, K. Jaspers, J.P. Sartre). Tra le correnti di pensiero che si sono sviluppate negli ultimi decenni figura poi anche il Neopositivismo o Positivismo logico, che si propone come analisi della scienza. Attività della mente, ritenuta caratteristica dell'uomo, mediante la quale si formulano concetti, elaborando i dati che provengono dalla realtà esterna, e si acquista coscienza di sé e del mondo. Per il suo carattere comprensivo di tutte le attività umane, e per la sua indeterminabilità, il termine è poco usato nel linguaggio scientifico, e impiegato quasi unicamente nel linguaggio comune con significati piuttosto mutevoli. Nel suo senso più generale il termine è comprensivo di tutti i fattori psichici; nei suoi significati particolari si contrappone, in genere, a ciò che è puro fenomeno psichico, indicando quei valori che sono propri dello spirito. ║ Riflessione sui dati della conoscenza, in opposizione a sensazione, percezione, intuizione. ║ Modello interpretativo della realtà elaborato da un filosofo, una scuola, un letterato, ecc. ║ Attività speculativa, teorica, in contrapposizione ad azione, spesso con accezione negativa. ║ Opinione. ║ Preoccupazione, stato d'ansia. ║ Cura, attenzione. ║ Breve scritto, saggio che verte su un determinato argomento, massima. • Filos. - Scarsamente impiegato in senso tecnico, preferendogli i termini di ragione o intelletto, genericamente indica l'attività speculativa che caratterizza un certo filosofo o epoca, o scuola, e che si presenta con una certa organicità e sviluppo storico. Come attività della coscienza, individua quei principi universali e quei valori fondamentali a cui può essere uniformata l'azione pratica. Secondo una definizione di Socrate, pensare significa porre in relazione un concetto con altri concetti. Nella filosofia classica, in cui lo sforzo massimo del p. doveva essere quello di pensare adeguatamente la realtà esterna, pensare e conoscere finiscono con il coincidere, essendo il p. nient'altro che una forma di conoscenza riflessa o mediata. Dalla ricerca delle leggi di questa conoscenza riflessa, ha origine, con Aristotele, la logica, che mostra come proceda il p. quando pensa, quale sia la struttura del ragionamento. Ma il riconoscimento di leggi puramente formali del p. comporta, necessariamente, l'ammissione di una struttura del p. indipendente dalla concreta attività del conoscere, e che, nello stesso tempo, dovrebbe fornire le prove della validità del nostro conoscere concreto. Il problema del rapporto che intercorre tra la realtà esterna, indipendente dal p., e la struttura di questo, ossia il problema della validità del p. come giudice di se stesso, può essere risolto, per Aristotele, presupponendo che esso sia, insieme, la forma e il contenuto: il p. si identifica con la stessa autocoscienza e non contiene solo la forma razionale, ma anche l'intuizione del contenuto. In Aristotele questa attività viene riferita al p. divino; essendo Dio la cosa più eccellente, è attività contemplativa di se medesimo, è p. di p. Nella filosofia cartesiana l'autocoscienza, non più soltanto propria dell'essere divino, si identifica con il p. La realtà del p., sia pure come attività dubitante, si pone al di sopra di ogni possibile dubbio; è res cogitans, sostanza spirituale pensante, in contrapposizione al mondo esterno o materiale. La difficoltà di questa concezione sta nel riconoscere un contenuto al p., che deve avere solo in se stesso la ragione della propria attività e la cui validità deve poter essere pensata per se stessa, indipendentemente dal contenuto. Nella filosofia di Kant il pensare acquista un nuovo significato. Mentre tradizionalmente la filosofia cercava di chiarire la natura del rapporto fra soggetto pensante e mondo esterno partendo dall'uno o dall'altro, Kant ha rivolto la sua attenzione esclusivamente all'attività strutturante del p., che egli definisce io penso, coscienza unitaria, punto di riferimento costante al succedersi delle intuizioni e percezioni ("pensare è il riferire le rappresentazioni all'unità della coscienza; tale pensare è la stessa esperienza, cioè il collegare la molteplicità mediante regole"). Il p. è, dunque, la facoltà di ognuno di unire esperienza e intellezione ("il collegamento delle rappresentazioni in una coscienza è il giudizio, quindi pensare è giudicare"). Proseguendo su questo tracciato kantiano, J. Lachelier intende il p. come un grado più elevato di sintesi, identificandolo con l'intelletto. Rispetto alla sua accezione strettamente filosofica, il p., secondo Lachelier, dovrebbe poter significare tutto ciò che ha in sé carattere di razionalità e di intelligibilità, anche senza coscienza in atto, dal momento che esso si identifica con la finalità immanente nell'uomo, capace di guidarlo nel suo sviluppo; una concezione che considera il p. non più in termini essenzialmente intellettuali. ║ P. debole: tendenza della filosofia contemporanea che afferma l'impossibilità di enunciare verità assolute, ponendo in discussione i sistemi filosofici tradizionali, e proponendo un'interpretazione consapevolmente parziale e provvisoria della realtà, soggetta a continua revisione critica. ║ P. forte: ammette certezze assolute, dunque la possibilità di indagare la realtà. • Psicol. - Qualsiasi forma di attività mentale che implichi idea e, più specificamente, che si occupi dell'organizzazione, spiegazione e soluzione di problemi. Il contributo maggiore dato dalla psicoanalisi alla psicologia del p. è la distinzione fatta da S. Freud tra processi primari e processi secondari: i primi sono quelle forme di p., ossia di funzionamento mentale, caratteristiche dell'inconscio (Es); i secondi sono le forme caratteristiche della coscienza (Io). Freud afferma che i processi del p. sono di per sé inconsci e ottengono l'accesso alla coscienza per la loro connessione a residui mnestici e a percezioni della vista e dell'udito, mediate dalla funzione della parola. C.G. Jung identifica e distingue quattro funzioni: sensazione, intuizione, sentimento e p., attribuendo ciascuna di esse a dei "tipi" umani. Secondo tale concezione, colui che si affida prevalentemente al p. ha sempre a che fare con idee, e non solo ragiona a rigor di logica, ma possiede anche una certa immaginazione; gli piace trovare formule con cui sistematizzare i fatti, o esprimere le proprie meditazioni. Apparterrebbero a questo tipo coloro che indirizzano il p. verso mete sempre nuove come, per esempio, i filosofi o gli scienziati. ║ Trasmissione del p.: fenomeno di natura metapsichica che consente la comunicazione attraverso un meccanismo che prescinde dalle normali vie sensoriali. Freud dà una definizione di tale fenomeno, osservando che esso è molto affine alla telepatia e, anzi, identificabile con essa: "Si ritiene che i processi psichici, le immaginazioni, gli stati di eccitazione, gli impulsi di volontà presenti in una persona, possano trasmettersi a un'altra persona attraverso lo spazio senza usare dei consueti mezzi di comunicazione, quali la parola e i segni". ║ P. autistico: p. che esaudisce i desideri. In esso, fantasie e desideri si fondono con la realtà, dando vita a una realtà arbitraria che ha riscontro solo nell'interno della persona, la quale tende ad isolarsi, vivendo in un mondo incentrato su se stessa. Se ne occupa anche la teoria freudiana dei sogni, considerandolo un processo psichico per cui certi desideri vengono espressi in sogno come esauditi: "un p. espresso all'ottativo viene sostituito da una rappresentazione al tempo presente". Secondo tale teoria la qualità allucinatoria dei sogni mette il sognatore in grado di rappresentare come esauditi desideri che, altrimenti, avrebbero portato a un suo risveglio. Gli esempi più frequenti di sogni che esaudiscono apertamente un desiderio sono i sogni dei bambini, oppure quelli provocati da tensione sessuale, o da qualche disagio fisico. ║ P. creativo: capacità di arrivare, nell'affrontare un problema, a soluzioni nuove, diverse, alternative. Si basa su una riformulazione mentale del mondo che ci circonda, attraverso scoperte casuali, ragionamenti dettagliati, intuizioni. È particolarmente studiato mediante test di personalità. ║ P. ossessivo: idea, o gruppo di idee, che si impone persistentemente alla coscienza dell'individuo, contro la sua volontà, nonostante egli stesso ne riconosca l'assurdità. Si tratta del sintomo principale della nevrosi ossessiva. Talora può manifestarsi in quegli individui la cui personalità presenta tratti (di natura non patologica) simili a ossessioni, che consistono, in genere, in un'eccessiva scrupolosità: pulizia, pedanteria, grettezza, ecc. Tale forma di p. è accettata dagli individui, che la possiedono come una forma valida di attività mentale. • Antropol. - P. primitivo: teoria che attribuisce ai p., propri di membri di società primitive, caratteri di prelogismo, incapacità d'astrazione, ecc. Teorizzato principalmente da L. Lévy-Bruhl, non implicherebbe un'incapacità di p. coerente e logico, bensì solo un'estraneità ai principi della nostra visione scientifica del reale. La conoscenza elaborata in questi termini si baserebbe non sull'istituzione di rapporti di causa-effetto, ma di analogia, associazione mistica, senza possibilità di verifica empirica. Le critiche a questa teoria si fondano sul presupposto dell'unità psichica del genere umano, e sull'esistenza contemporanea presso tutte le società sia di un modello "scientifico" sia "mistico". Scienza delle leggi del pensiero. Arte di condurre il discorso e il ragionamento attraverso un procedimento razionale, in modo che le idee risultino tra loro connesse. Nella storia del pensiero occidentale, il problema della l. non si presentò inizialmente distinto da quello della metafisica. Per quanto gli argomenti logici non fossero estranei ai filosofi presocratici e Platone (V-IV sec. a.C.) nel Sofista presentasse un rigoroso trattato di l., il riconoscimento dell'autonomia della l., come scienza, si deve ad Aristotele (IV sec. a.C.) che la distinse dal problema della conoscenza, in quanto la l. non riguarda ciò su cui si ragiona, bensì il modo e la forma del ragionamento. Secondo Aristotele, i simboli, le parole, i nomi o i verbi, non sono in sé né veri né falsi, ma vera o falsa è la relazione che viene posta tra essi, ossia la l. Che il simbolo corrisponda o no alla realtà o al simbolizzato, non interessa la l. che si occupa solo delle relazioni tra i simboli, ovvero della pura forma del pensiero. Nelle sue opere sulla l., raccolte successivamente in un unico complesso intitolato Organon, Aristotele si soffermò principalmente sullo studio dei termini della proposizione (soggetto e predicato), ma anche sulla proposizione stessa e sulla connessione dimostrativa delle proposizioni (sillogismo). Non fu tuttavia Aristotele a introdurre il termine l. (egli la chiama analitica), ma la diffusione del termine si deve soprattutto agli stoici che lo usavano per designare l'arte del discorso persuasivo. La scuola stoica, fondata da Zenone di Cizio (IV-III sec. a.C.), si occupò attivamente di l., in quanto parte della filosofia, indirizzandosi da un lato allo studio delle cose significate e dall'altra allo studio delle cose significanti. Gli stoici elaborarono quindi soprattutto una l. delle proposizioni, contrapposta alla l. dei termini generali concepita precedentemente da Aristotele, tesa ad indagare sulla veridicità o falsità delle proposizioni sia semplici che composte. Nei secoli seguenti le argomentazioni delle due scuole, quella aristotelica e quella stoica, furono oggetto di diversi trattati e commentari e vennero quindi tramandate nelle opere di autori quali Apuleio (II sec. d.C.), Alessandro di Afrodisia (II sec.), Porfirio (III sec.) e Severino Boezio (V-VI sec.). Anche la scuola araba di l., formatasi dopo che gli arabi conquistarono la Siria, contribuì con traduzioni e commenti alla diffusione della l. antica, soprattutto ad opera di Avicenna (XI sec.) e Averroè (XII sec.). Nel Medioevo lo studio della l. assunse una dimensione nuova in quanto, con il nascere e il diffondersi delle università, la l. divenne una materia di insegnamento e iniziarono a circolare manuali di l. quali le Introductiones in logicam o Summulae di Guglielmo di Sherwood (XIII sec.) o le Summulae logicales di Pietro Ispano (XIII sec.). Tuttavia il primo grande logico del Medioevo fu Pietro Abelardo (XII sec.) il quale svincolò la l., in quanto scienza, dalle interpretazioni metafisiche e con la sua opera Dialettica introdusse alcune tematiche fondamentali della l. medievale come lo studio delle proprietates terminorum e delle consequentiae. Notevoli contributi alla l. medievale vennero anche da Guglielmo di Occam (XIV sec.), principale esponente del Nominalismo (V.), il quale diede alla l. un'interpretazione spiccatamente formale. Egli è ricordato, tra l'altro, per aver fornito la prima esposizione sistematica di tutta la l. dalle origini al Medioevo. Altri studi vennero compiuti, nel corso del XIV sec., dagli esponenti del Merton College di Oxford per approfondire i legami tra l. e matematica. I principali centri di studio della l. divennero Parigi e Oxford, la cui influenza in tutta Europa durò fino al XVI sec. In età umanistica, a mano a mano che all'ideale della rivelazione, andava sostituendosi quello dell'esperienza, si verificò una violenta reazione antiscolastica e antiaristotelica che coinvolse particolarmente lo studio della l. Si avvertì soprattutto l'esigenza di una l. pratica, legata ai contenuti e finalizzata al discorso, lontana dale aride argomentazioni formali del Medioevo. Il problema centrale divenne quello della l. intesa come ricerca sul metodo: nelle opere di Pietro Ramo, Francesco Bacone e Galileo Galilei (XVI-XVII sec.) si evidenzia il processo di trasformazione della l. in metodologia di ricerca delle scienze particolari. A partire dal Cinquecento la rinascita euclidea influenzò notevolmente lo sviluppo della l., creando uno stretto legame tra l._ e matematica: Hobbes e Leibniz (XVI-XVII sec.) cercarono di applicare anche alla l. un linguaggio simbolico (caratteristica universale) che permettesse di automatizzare i processi di trasformazione e le operazioni logiche. Il Settecento tenne abbastanza in considerazione il pensiero leibniziano anticipando, nei lavori di J.H. Lambert, tesi alla realizzazione di una mathesis universalis, molti temi della futura l. matematica. Il problema del rapporto tra l. e pensiero scientifico rimase aperto anche nel secolo successivo, caratterizzando anche alcuni aspetti del pensiero contemporaneo. Una posizione a sé occupa la filosofia hegeliana, espressione massima di una l. che si risolve nella dialettica. Hegel si proponeva di creare una l. della ragione che integrasse o sostituisse la l. dell'intelletto. Egli operò una profonda riforma della l. che intese come divenire, ossia come "necessità" e, insieme, "libero spirito" propulsore, inerente al corso delle cose. Con essa Hegel intese cogliere in atto l'immanenza dell'infinito nel finito, dell'assoluto nel divenire, poiché la dialettica doveva rivedere le "leggi del pensiero", in particolare quella della contraddizione logica, com'era stata sempre intesa da Aristotele in poi. La dialettica hegeliana, nella sua concezione di metodo logico, fu adottata da C. Marx, divenendo parte fondamentale del socialismo marxista e del comunismo. La rinascita della l. formale_ è uno degli aspetti peculiari della cultura contemporanea, accanto all'elaborazione di un'algebra della l. atta a ridurre la matematica a un sistema di relazioni e funzioni puramente logiche. Da questi studi e dai Principia mathematica di B. Russell e A.N. Whitehead nacque la l. matematica moderna, modello perfetto di linguaggio rigoroso e non contraddittorio applicabile anche come strumento di controllo dei linguaggi usati nelle diverse discipline scientifiche. Nel pensiero contemporaneo la l. si presenta distinta in logistica (o l. matematica) e l. simbolica. ║ Struttura logica: elementi della l. sono le parti di cui è formato un discorso o un argomento, ossia le proposizioni. Ogni proposizione è formata da un soggetto congiunto con un predicato, e le proposizioni collegate tra loro costituiscono un sillogismo. I termini delle proposizioni sono detti concetti, idee, conoscenze generali. L'atto con cui si congiungono le proposizioni e i sillogismi è detto giudizio. I concetti consentono al discorso di passare da uno a più giudizi alla formulazione di nuovi giudizi. I concetti o termini del giudizio vengono in vario modo classificati come generali, singolari, collettivi, distributivi, concreti, astratti, positivi, negativi, assoluti, relativi, ecc. Per il loro significato, i termini possono essere univoci (quando consentono un solo significato) o ambigui. Il problema dell'equivocità o unicità dei significati costituisce una parte notevole dell'analisi del linguaggio scientifico. Il significato dei concetti viene distinto in rapporto all'estensione o in rapporto alla comprensione. Un simbolo può essere più o meno esteso: per esempio il simbolo "elemento" è meno esteso del simbolo "materia". Una proprietà che appartiene a un concetto o a un simbolo è detta proprietà della classe. Ogni classe può essere detta genere se formata da due o più specie. La specie contiene tutte le proprietà del genere e in più le proprietà che distinguono le diverse specie appartenenti a uno stesso genere. Specie, genere, differenza, proprietà, sono detti predicabili. La maggior parte dei filosofi considerano i principi logici come vere e proprie leggi del pensiero, per cui un ragionamento è vero o falso se segue o no queste leggi. I principi logici sono tre: principio di identità (tutto ciò che è, è); principio di contraddizione (nulla può essere e insieme non essere); principio di esclusione (ogni cosa deve essere o non essere). Il principio d'identità non è altro che la definizione dell'identico: in un ragionamento logico ciò che è simbolizzato con un dato simbolo non può esserlo con un altro, così come, nel contesto di un linguaggio, la definizione deve essere sempre uguale a se stessa. Il secondo principio, cioè quello di contraddizione, significa che un soggetto non può avere, nello stesso tempo e negli stessi rapporti, proprietà contraddittorie: un simbolizzato non può avere, e nello stesso tempo non avere, date proprietà. Ai principi logici sono collegati altri principi detti assiomi, in quanto considerati come verità evidenti di per se stesse. I due assiomi logici fondamentali, detti anche canoni, o regole fondamentali del discorso, sono: 1) due concetti che convengono a un terzo, convengono tra loro; 2) due concetti di cui uno conviene con un terzo e l'altro no, non convengono tra loro. Questi assiomi sono le regole fondamentali del discorso armonicamente concluso o sillogistico. Il ragionamento sillogistico è statico, in caso contrario si ha la l. dinamica. Le regole del sillogismo derivano da due assiomi e la caratteristica sillogistica fondamentale è data dal termine medio. Si tratta cioè di due elementi paragonabili solo per la presenza di un terzo e ciò non può avvenire se i due elementi sono del tutto uguali o differenti. Le due regole prime del sillogismo sono: 1) un sillogismo ha tre termini e solo tre termini; 2) un sillogismo è formato da tre giudizi e solo di tre giudizi: maggiore, minore, conclusione. Nel sillogismo, il termine medio è facilmente riconoscibile perché non entra mai nella conclusione. Lo studio dei giudizi, in quanto condizionali, determina la distinzione tra giudizi categorici e giudizi condizionali, ipotetici e disgiuntivi. (dal latino deus). L'Essere supremo, concepito universalmente come potenza, saggezza, grandezza infinita, eterno creatore e ordinatore dell'universo. ║ Nelle religioni politeistiche, ciascuno degli esseri immortali dotati di potere sull'uomo, dal quale sono venerati come superiori. ║ Fig. - Persona particolarmente dotata di una determinata qualità o capacità; persona che raggiunge grandi risultati. ║ Fig. - Persona alla quale viene attribuito un particolare rispetto, che viene fatta oggetto di speciale venerazione. ● St. delle rel. - Strettamente connessa alle diverse concezioni religiose, l'idea di d. si è fissata concretamente in tutte le civiltà storiche nell'elaborazione di miti, all'interno dei quali la divinità è considerata agente direttamente nel mondo naturale e umano e acquista una propria specifica fisionomia e funzione. La moderna scienza comparata delle religioni ha sottolineato come la personificazione di oggetti religiosi rappresenti uno stadio avanzato rispetto agli stadi antecedenti, nei quali predomina l'elemento collettivo e magico di tipo animistico. In molte delle antiche civiltà (egiziana, greca, ecc.) gli d. erano immaginati come viventi in una società organizzata secondo il modello umano, legati da vincoli di parentela più o meno stretti e complessi. D'altra parte alla divinità erano attribuiti caratteri spiccatamente antropomorfi, dall'aspetto esterno alle caratteristiche psicologiche, ai sentimenti. Anche nelle religioni politeistiche il creatore del mondo viene inteso come unico, mentre nel panteismo il fedele si rivolge ad un unico D., nella convinzione che, nonostante la molteplicità dei nomi, l'essere divino sia comunque uno. Gli studi comparati delle religioni portarono in passato, soprattutto nella seconda metà dell'Ottocento, all'elaborazione di alcune teorie sul rapporto tra monoteismo e politeismo; in particolare la teoria del monoteismo primordiale, ripresa e sostenuta da W. Schmidt, tentò di dimostrare la presenza, anche nelle religioni politeistiche precedenti il Cristianesimo, di un nucleo di verità originaria. A tale teoria fu opposta in seguito quella dell'evoluzione dell'idea di D., secondo la quale sarebbe possibile definire diverse tappe nello svolgimento della storia dell'uomo, corrispondenti a successive elaborazioni del concetto di divinità: si sarebbe passati da una fase di feticismo (secondo altri di animismo), ad una fase di politeismo, per giungere poi al monoteismo. Entrambe le ipotesi si sono rivelate, ad uno studio più rigoroso e attento, inadeguate e incomplete. L'idea di D. nelle diverse civiltà fu ed è tuttora complessa e molto varia, anche se si possono riscontrare caratteri comuni, e l'eventuale passaggio da un tipo di concezione ad un altro non avviene gradualmente ma in seguito ad un cambiamento radicale, spesso improvviso. ● Teol. - In ogni religione è presente una relazione vitale tra un Io umano e un Tu divino, vivo e operante nella storia. Per quanto riguarda però la natura di D. e il suo rapporto con il mondo, le diverse impostazioni del problema conducono all'elaborazione di sistemi filosofici e teologici ben distinti: il deismo, ad esempio, di basa su una concezione di D. come pura trascendenza, distinta dal mondo; il panteismo lo identifica con il mondo, lo considera ad esso immanente. Tuttavia, in tutte le religioni, e con particolare evidenza nel Cristianesimo, è presente l'idea che da D. sia da attendersi la salvezza. Nella concezione cristiana, D. è l'Essere supremo, ultramondano, personale, assoluto, che esiste per se stesso ed è perciò necessario, eterno, perfetto, creatore e legislatore dell'universo; egli è inoltre contemporaneamente uno e trino e il suo intervento nella storia dell'uomo si è manifestato nell'incarnazione. Per quanto riguarda la conoscibilità di D., il pensiero teologico ha affrontato il problema giungendo all'elaborazione di diverse tesi, che si articolano fra due posizioni estreme: quella intellettualistica, secondo la quale la conoscenza di D. si configura come apprensione immediata da parte dell'intelletto umano, e quella agnostica, che sostiene l'impossibilità di giungere a una sia pur minima conoscenza del divino. A tale posizione si collega la cosiddetta teologia negativa, che prevede la possibilità di una definizione della natura e degli attributi di D. soltanto mediante una serie di negazioni ricavate dal confronto con tutto ciò che riguarda l'umano: non si può dire ciò che D. è, ma solo ciò che non è. La tendenza contraria, che prospetta la possibilità di attingere almeno parzialmente ad una conoscenza di D., ha portato nel corso della speculazione teologica e filosofica all'elaborazione delle cosiddette prove dell'esistenza di D., fondate sul principio che si può parlare di D., attribuendoGli al grado massimo e perfetto le qualità e le forme della vita. Si tratta di prove a priori o a posteriori. Fra le prime sono la prova ontologica (l'Essere pensabile col massimo di perfezione deve esistere) sostenuta da Agostino, Anselmo d'Aosta, Cartesio, e la prova fondata sull'idea di perfezione, sostenuta da Cartesio. Del secondo gruppo fanno parte la prova teleologica (poiché l'universo è armonia, è necessaria l'esistenza di un Essere supremo che garantisca tale armonia) e la prova morale (fondata sulla fondamentale aspirazione al bene presente in ogni uomo). Tuttavia, nella teologia cattolica sono diventate canoniche le cinque prove elaborate da San Tommaso, fondate sui principi della filosofia aristotelica e che a posteriori deducono l'esistenza di D. dal movimento (che per essere tale presuppone un Primo motore), dalle cause efficienti (che esigono una Causa prima), dalla contingenza della realtà, dalla presenza nel mondo di differenti gradi di perfezione (che presuppongono un Essere che riassume in sé la perfezione assoluta), dalla natura finalistica del mondo. Il Concilio Vaticano I del 1869-70 ha riconosciuto infatti un preciso valore a tali prove razionali dell'esistenza di D. ● Filos. - Nell'ambito della filosofia greca, i primi a parlare di un Essere eterno e immutabile furono gli Eleati. Platone identificò il divino con l'Idea del Bene, mentre Aristotele insisté sulla sostanza prima, concepita come sostanza immobile e motrice dei cieli. Nella concezione degli Stoici, fondata sull'esistenza di due principi primi di tutte le cose, il passivo (sostanza priva di qualità, ossia materia) e l'attivo (ragione, ossia logos), quest'ultimo viene identificato con D., generatore della materia. Il Neoplatonismo, il cui massimo esponente fu Plotino, considerò D. il principio e il fine del pensiero e della volontà, primo principio inesprimibile: l'Uno, il Bene, il Primo, sorgente di ogni realtà che genera in un processo di graduale emanazione. Dopo la diffusione del Cristianesimo alcuni Padri della Chiesa tentarono per primi di dare una dimostrazione razionale dell'unità di D. Atenagora, ad esempio, affermò che nel caso dell'esistenza di più dèi, non potrebbero essere tutti nello stesso luogo e neppure in luoghi diversi perché non sarebbero D., che è uno e trino, ossia Padre, Logos (di cui sono fatte le cose) e Spirito Santo. La diffusione del Cristianesimo fu accompagnata dal sorgere di numerose eresie, soprattutto nei primi secoli. Fra queste, lo Gnosticismo affermò l'unità e l'ineffabilità di D., ma finì per negarne l'assolutezza. Soprattutto a Sant'Agostino si deve la sistemazione teologico-filosofica del Cristianesimo, poi integrata e completata da San Tommaso d'Aquino, secondo il quale la garanzia dei valori razionali è fondata in D. e la garanzia dell'esistenza di D. si basa sulla dimostrazione razionale di essa. Nell'ambito della Scolastica, il distacco dalla concezione tomistica, già presente in vari rappresentanti del misticismo medioevale, divenne particolarmente evidente nel pensiero di G. d'Occam, secondo il quale né di D. né della realtà soprannaturale si può avere una conoscenza intuitiva. Le verità della fede non sono evidenti di per se stesse e le stesse prove dell'esistenza di D. non hanno valore dimostrativo. Nemmeno gli attributi di D. si possono dimostrare e non si può stabilire con certezza se esiste un unico D.; altrettanto incerte sono l'immortalità, l'onnipotenza, l'infinito. In epoca rinascimentale, a parte le tendenza panteistiche espresse da Telesio, Bruno e Campanella, ebbe inizio un lungo processo di separazione fra fede e ragione, che sfociò nell'Illuminismo e nel razionalismo moderno. Cartesio concepì D. come assoluta identità di pensiero, volontà e creatività; D. è la sorgente prima delle essenze, delle esistenze, anche le verità matematiche dipendono dalla sua volontà. Il fine ultimo del volere divino sfugge alla nostra conoscenza, poiché D. esiste in sé e non ha bisogno di altro per esistere. Anche secondo Spinoza, D. è ciò che ha in se stesso la propria causa, né ha bisogno di altra sostanza per esistere; Egli si identifica con la Natura. Il pluralismo spiritualistico di Leibniz, distaccandosi sia da Cartesio che da Spinoza, giunse a una concezione del mondo retto da un'armoniosa continuità: D., in quanto volontà perfetta, realizza con un atto creativo il migliore dei mondi possibili. Dopo la critica rivolta da Hume ai tentativi di dimostrazione razionale dell'esistenza di D. anche Kant rinunciò a qualsiasi dimostrabilità razionale, prospettando una fede religiosa fondata essenzialmente su un'esigenza morale: la fede nell'esistenza della divinità è la fede in un Essere che condiziona il mondo sensibile in modo da soddisfare la legge morale. Schelling, che pose al centro della propria filosofia il problema dell'esistenza di D. e delle cose finite, affrontò il problema dell'origine del male, che d'altronde si rivela necessario se si vuole ammettere per l'uomo la possibilità di scegliere tra bene e male e, quindi, la libertà dell'uomo. Concepito D. come Idea Pura, della quale la realtà è manifestazione necessaria, Hegel sostenne una posizione rigorosamente immanentistica. Nell'ambito degli sviluppi della filosofia hegeliana, particolarmente interessante è la posizione assunta da Feuerbach, secondo il quale la religione ha un'origine psicologica e si costituisce come illusione, come tentativo dell'uomo di opporre a se stesso la propria essenza, oggettivandola come qualcosa di reale, altra da sé, innalzandola poi all'infinito e venerandola come D. Si tratta quindi di un processo di alienazione per cui l'uomo trasferisce in D. le qualità più alte che egli non ha e che vorrebbe avere: in tal modo viene rovesciata l'affermazione tradizionale della creazione dell'uomo da parte di D., poiché al contrario è l'uomo che, per soddisfare i propri bisogni, crea D. come proiezione idealizzata di sé. Anche nel pensiero di Marx la teologia si identifica in realtà con l'antropologia e la religione ha un carattere puramente illusorio e ingannatore. Bergson considerò la vita della natura come evoluzione creatrice e continua, nella quale, come nella vita della coscienza, ogni momento è assolutamente nuovo: l'unica fonte di vita è lo sforzo creatore, lo slancio vitale che è di D. e che anzi si identifica con D. stesso. Il problema del rapporto tra uomo e D. fu posto in termini drammatici dalla filosofia esistenzialista, che negò la possibilità di un tale rapporto per mettere in luce invece una rottura irreparabile. ● Icon. - A parte le numerose rappresentazioni degli dei delle antiche civiltà, un ricco repertorio figurativo è rappresentato dall'iconografia cristiana. Le più antiche raffigurazioni della divinità sono di carattere simbolico, in ottemperanza al divieto posto dall'Antico Testamento di rappresentare D.: simbolo preponderante fu la mano, spesso benedicente. Presente nella sinagoga di Dûra Europos a Damasco, questo tipo di rappresentazione fu diffuso ampiamente nell'arte paleocristiana e altomedievale. Ancora frequente nei secc. XI-XII, essa scomparve nell'arte gotica, sostituita gradualmente da raffigurazioni antropomorfiche di D. Queste, presenti fin dall'epoca paleocristiana ma limitatamente alle scene della Creazione, si diffusero nei moduli fissi di un uomo giovane, privo di barba, facilmente identificabile con il Cristo o, al contrario, di un vecchio con la barba, da solo o nelle raffigurazioni della Trinità. (dal latino metaphora, der. del greco metaphorá: trasporto, mutazione). Figura retorica risultante da processi psichici e linguistici che, tramite l'accostamento di due diverse realtà ritenute però sotto qualche aspetto simili, sostituisce la denominazione dell'una con quella dell'altra. Ad esempio nell'espressione "l'ondeggiare delle spighe" si istituisce una comparazione tra la distesa delle spighe e la superficie del mare che comporta - sulla base di un'analogia di natura visiva - il trasferimento del concetto di "ondeggiare" dal suo campo semico proprio (il mare) a un altro (le spighe mosse dal vento). La spiegazione della m. verbale richiede il riferimento a esperienze di tipo diverso (può cioè rimandare a sensazioni visive, auditive, tattili, olfattive). La m. rappresenta pertanto una sorta di "infrazione" alle regole logiche del linguaggio, capace però di condurre a sorprendenti esiti creativi. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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